Sono stata una paziente del CSM di Monfalcone dal 2011 al 2016, rispettivamente dai 17 ai 23 anni.
Ho iniziato i colloqui con psichiatri e psicologi al Centro di Salute Mentale dopo un colloquio con la preside della scuola che frequentavo, in cui lei ha stabilito che sarebbe stato meglio per me andare in una comunità, e lo comunicò subito ai miei genitori; immediatamente, mi portarono al centro. Ero una ragazza particolare, con la passione per l'arte e la recitazione; il mio passato era stato segnato da una brutta situazione familiare, ma tutto sommato nascondevo bene la mia rabbia e la mia tristezza, riuscendo a coltivare moltissime amicizie, che non notavano in me nessuna stranezza.
Non ho mai accettato il fatto di andare al C.S.M., prendere i farmaci e quant'altro e anche se ogni paziente ha la libera scelta di prendere o meno le medicine, non sembra affatto così: nessun membro del personale ti comunica questo diritto e, anzi, ti costringono a prenderle, inculcando nelle menti dei familiari dei pazienti, tramite innumerevoli colloqui, che invece sono essenziali per la sopravvivenza del malato. In realtà, gli psicofarmaci distribuiti gratuitamente dal C.S.M., non sono altro che droghe legali con lo scopo di sedare e stordire i pazienti e, a lungo andare, causano tumori, riducono le persone a vegetali e provocano tachicardia.
Ci sono stati dei casi in cui ho dovuto fare dei T.S.O. (trattamento sanitario obbligatorio), in cui ho dovuto permanere al C.S.M. anche le notti. Il luogo è veramente lugubre, maleodorante e cupo e i pazienti sembrano degli zombi, che camminano strisciando i piedi, completamente storditi.
Quelli più agitati vengono ulteriormente sedati, spesso contro la loro volontà, e quelli più "insistenti" vengono picchiati brutalmente, indipendente dalla loro età. Durante il mio primo T.S.O. che durò circa due mesi, due pazienti anziane vennero maltrattate: a una ruppero una costola e non chiamarono i soccorsi, provocandole dei dolori atroci, mentre l'altra venne trascinata e sbattuta lungo un corridoio da un equipe di infermieri, causando perfino il cedimento di una parte del soffitto.
Ci sono state delle volte in cui aggredirono anche me, come il giorno del mio ventesimo compleanno, in cui un infermiere entrò nella mia camera mentre stavo ancora dormendo e, strattonandomi per un braccio, mi trascinò, fino a buttarmi giù da una rampa di scale; oppure quella volta in cui, cercando di scappare,un'infermiera mi fermò tenendomi per i polsi, lasciandomi dei brutti lividi.
All'epoca, durante le mie fughe, provai più volte a denunciare le aggressioni ai carabinieri, ma mi risposero sempre che non potevano fare nulla.
Cercavo spesso di scappare, perché non potevo uscire liberamente e, un dì, il direttore del C.S.M., il dr. Pierpaolo Mazzuia, si presentò nella mia stanza, minacciandomi di "sbattermi fuori" a causa del mio temperamento (all'epoca il C.S.M. era l'unico posto in cui potevo stare, visto che non avevo una casa, e i medici ne era al corrente) e, vista la mia situazione, mi consigliò di dormire sotto i ponti e fare la prostituta. Un infermiere, un giorno, mi augurò persino la morte, perché stavo fumando in camera. Qualche giorno prima del mio T.S.O., venni chiusa nella stanza di accettazione, dove una psicologa insieme ad alcuni infermieri, mi disse che un giorno mi avrebbero trovata e chiusa lì dentro; fortunatamente riuscii ad aprire la porta e scappare.
Nonostante tutto, mi ritengo "fortunata", perché altri pazienti hanno ricevuto trattamenti anche peggiori. Un signore viveva praticamente nella stanza esterna accanto alla camera con i tubi di riscaldamento ed elettrici, una specie di sgabuzzino insomma.
Di fronte ai parenti dei pazienti che segnalano gli abusi e le violenze recate ai malati, i dottori hanno sempre negato tutto.
Personalmente spero veramente che le cose cambino e che venga data un po' di giustizia ai pazienti del Centro di Salute Mentale di Monfalcone; se Basaglia vedesse tutto questo, si rivolterebbe nella tomba.
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